Le colonie marine in tempo di guerra #05 - Il Palloncino Rosso
16936
post-template-default,single,single-post,postid-16936,single-format-standard,cookies-not-set,ajax_fade,page_not_loaded,,qode_grid_1400,footer_responsive_adv,qode-child-theme-ver-1.0.0,qode-theme-ver-16.1,qode-theme-bridge,wpb-js-composer js-comp-ver-5.4.7,vc_responsive
 

Le colonie marine in tempo di guerra #05

Le colonie marine in tempo di guerra #05

 

Riprendiamo il racconto sui 13.000 bimbi, principalmente libici e dell’Africa orientale, figli dei coloni italiani sulla “quarta sponda”, giunti nel nostro Paese nel giugno 1940.
A leggere la stampa dell’epoca sembrerebbe che tutto filasse liscio nelle colonie marine: secondo L’azione coloniale, i piccoli, cui era dedicata «affettuosa ed accurata assistenza», non avevano tempo di annoiarsi perché le loro giornate erano ben scandite in varie attività, tra le quali «bagno, giochi, esercizi sportivi, riposo, studio e svaghi diversi» alternati in un «intelligente orario che fa volare – deliziosamente volare – le ore non solo non stancando il corpo e la mente, ma anzi irrobustendo il primo ed esercitando la seconda». Vi erano anche proiezioni cinematografiche e radioaudizioni, nonché canti e lettura di giornalini forniti dalla G.I.L. (ad esempio il quindicinale Quarta sponda). Pare che non mancasse occasione di scrivere letterine ai propri cari rimasti in Africa e che vi fosse addirittura una particolare trasmissione radiofonica per comunicare oltremare, ma in realtà ben pochi ebbero questa fortuna.
Complessivamente erano 37 le colonie distribuite sul litorale adriatico da Venezia a Pescara e che ospitavano nell’estate del 1940 circa 20.000 ragazzi, non solo delle colonie africane ma anche di altri Paesi del Mediterraneo: di queste, 18 erano in provincia di Forlì, 3 in quella di Ravenna e 2 in quella di Pesaro, per rimanere nella nostra zona.
Alla partenza da Tripoli, come ricorda Grazia Arnese, una delle bimbe partite dalla città libica che abbiamo già presentato nell’articolo precedente, il Duce aveva promesso alle famiglie dei coloni che «i vostri bimbi, per merito del fascio hanno l’onore di rivedere il suolo natio; fra tre mesi, forti e coraggiosi ritorneranno in mezzo a voi». Tuttavia, come ben sappiamo, la guerra non durò una sola stagione, pertanto questi bambini invece di essere rispediti nelle proprie famiglie vennero in parte trasferiti in altre colonie attrezzate per l’inverno, soprattutto al sud e in Liguria. Contemporaneamente per molti di loro si poneva il problema dell’istruzione, infatti solo nelle scuole elementari dovevano andarne almeno 9.000: a questo scopo il Ministero dell’Africa Italiana approntò nel più breve tempo possibile delle aule proprio nelle colonie, utilizzando anche insegnanti già impiegati nei villaggi della colonizzazione.
Tutto questo fino all’aprile del 1941, quando per esigenze imposte dall’evoluzione della guerra la maggior parte delle colonie sui versanti tirrenico e adriatico vennero evacuate e destinate ad altri usi, ad esempio come ospedali militari. Molti bambini finirono dunque nelle colonie montane.
Queste vicende trovano conferma nei ricordi di Grazia: anche lei fu “deportata” in varie colonie. Accolta a Marina di Ravenna, venne trasferita in diverse altre colonie: solo per citarne alcune, la “Camillo Balbo” di Cattolica, una colonia a Rovegno (Genova), la “Dux” di Lizzano in Belvedere e un collegio a Carpenedolo (Brescia). Racconta che alcuni bimbi furono ospitati anche in 14/15 colonie diverse, durante il periodo bellico: di solito ci si spostava di notte, per evitare guai. Come detto, la disciplina era particolarmente rigida, anzi sicuramente sono stati gli anni peggiori per la storia delle colonie italiane: basti dire, tra le tante sevizie che subivano i giovani ospiti, che era d’obbligo dormire girati su un fianco a seconda di dove fosse collocato il ritratto di Mussolini, perché lui “vegliava su di loro” e non bisognava dargli le spalle…Oppure il dovere di attendere il fischio per iniziare a mangiare nel refettorio; e se qualche posata cadeva a terra, un altro fischio interrompeva il gesto, fino al fischio successivo.
Nel prossimo articolo vi diremo che fine fecero i “ragazzi della quarta sponda”…

(Notizie tratte da: I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia di G. Arnese Grimaldi, 2014; L’azione coloniale, 5/9/1940 e 9/10/1941. Si ringrazia la Biblioteca civica Gambalunga – Rimini)

 

 

Tags:
, ,