Le colonie marine in tempo di guerra #04 - Il Palloncino Rosso
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Le colonie marine in tempo di guerra #04

Le colonie marine in tempo di guerra #04

 

Torniamo al giugno del 1940: otto navi mercantili, le stesse che avevano trasportato soldati italiani sulle coste libiche, ripartivano da Tripoli e Bengasi per tornare in Italia. Destinazione: Ravenna, Napoli e Genova. Ma il “carico” non era merce qualunque: erano bambini. Tredicimila bimbi libici e dell’Africa orientale, figli dei coloni della “flotta del lavoro”. Il Regime aveva richiamato in Patria tutti i piccoli dai 4 ai 15 anni per metterli al sicuro in vista dell’imminente decisione fatale, in quanto ritenuti «non atti al lavoro». Quelli dai 16 in su, invece, furono arruolati. Dove finirono? Principalmente nelle colonie create dal Fascismo, ma anche in caserme, alberghi, collegi, perfino manicomi.
Testimone speciale di questa vicenda è Grazia Arnese Grimaldi: lei era uno di quei bambini, i “ragazzi della quarta sponda”. Racconta che in Libia erano stati affissi manifesti dove si ordinava che ogni bimbo ivi residente dovesse essere mandato in Italia in vacanza, per poter conoscere la natia Madre Patria. Entro tre mesi era previsto il rientro nelle famiglie, ma la guerra li trasformò in cinque interminabili anni di vagabondaggio, tra pericoli e fame. Provenivano da tutte le regioni: «sembravano l’Arca di Noè e la città di Babilonia fuse insieme».
Il viaggio durò 4/5 giorni, con le teste rasate e accoccolati su brande e cuccette improvvisate, senza coperte e cuscini.
Lo sbarco in Romagna avvenne a Marina di Ravenna: 1.000 rimasero lì, alla Colonia “G. Lapucci”, altri gruppi finirono nelle colonie tra Cervia e Cattolica. Pochi giorni dopo si diffuse la notizia che l’Italia era entrata in guerra (10 giugno) e si capì finalmente il perché di quell’esodo forzato: mettere al sicuro le giovani generazioni. La vita in colonia, notoriamente rigida, divenne a quel punto ancora più dura, con l’inserimento di attività di stampo militare: marce, alzabandiera, inni. Anche il linguaggio cambiò registro: quei piccoli non erano più bambini, erano «organizzati», cioè preparati alla guerra. Dovevano diventare la nuova Gioventù Italiana del Littorio.
Come riporta il Corriere della sera, erano 30.000 i ragazzi ospitati da Ravenna a Pesaro: di questi 12.000 provenivano da Cirenaica e Tripolitania. Undicimila, secondo il Corriere padano, erano invece quelli dislocati nelle 18 colonie del litorale riminese e forlivese. Fu allestita una trasmissione radiofonica per informare i genitori rimasti in Africa.
Le colonie maggiormente citate dalla stampa nella zona di Rimini erano: “Costanzo Ciano” e “Pavese” (Igea Marina); “Principessa di Piemonte” (Viserbella); “Maria di Savoia” e “Arnaldo Mussolini” (Marebello); “Novarese” e “Decima Legio” (Miramare); “Amos Maramotti”, “Toti” e “Bertazzoni” (Riccione); “Camillo Balbo” e “XXVIII ottobre” (Cattolica).
Il Popolo di Romagna, parlando della Novarese «immensa, caratteristica per le amplissime vetrate disposte sui quattro piani dell’edificio», afferma che ospitava mille bimbi di Derna. Altri 350 si trovavano alla “Reggiana”, sempre della Libia. Invece altre colonie accoglievano i figli degli italiani all’estero: si trattava – oltre che della “28 ottobre” – della “Toti”, della “Bertazzoni” e della “X Legio”, le quali complessivamente contavano 1.600 ospiti, tutte femmine e provenienti da Egitto, Tunisia, Grecia, Francia, Iugoslavia, Romania, Bulgaria e Palestina.
Ma il racconto di Grazia non finisce qui…

(Notizie tratte da: I tredicimila ragazzi italo-libici dimenticati dalla storia di G. Arnese Grimaldi, 2014; Corriere della sera, 16/07/1940; Corriere padano, 23/06/1940; Il popolo di Romagna, 22/06/1940. Si ringrazia la Biblioteca civica Gambalunga – Rimini)

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