La Colonia Marina "Decima Legio" di Miramare #15 - Il Palloncino Rosso
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La Colonia Marina “Decima Legio” di Miramare #15

La Colonia Marina “Decima Legio” di Miramare #15

 

Affrontiamo ora un tema spinoso ma inevitabile quando si parla di colonie in epoca fascista; ovvero parliamo dell’aspetto educativo.
Lo facciamo perché riteniamo storicamente corretto riportare certi fatti del passato, il che non significa – e lo sottolineiamo ancora una volta – che vogliamo ricordarli con nostalgia, ma perché è giusto sapere.
Infatti per chi non lo sapesse, o l’avesse dimenticato, obiettivo nemmeno tanto velato del Fascismo era quello di crescere i figli del popolo nella consapevolezza di diventare un domani dei soldati, di prepararsi alla guerra, perché il Regime aveva una organizzazione di stampo militare. D’altra parte il motto onnipresente nel Ventennio era «credere, obbedire, combattere». Le colonie, da questo punto di vista, erano perfette per lo scopo: la vita dentro di esse era, lo abbiamo visto, perfettamente scandita in attività e orari molto rigidi, in pratica delle piccole caserme. E con la scusa del miglioramento della salute dei ragazzi si otteneva consenso.
Le maestre insegnanti venivano assunte solo dopo aver frequentato un corso per “assistenti e dirigenti di colonia”, istituito dal Regime con lezioni di puericultura, igiene, cultura politica. E proprio la politica era una delle materie insegnate nelle colonie: trattandosi di fanciulli, il metodo prescelto non era ovviamente la lezione teorica da imparare a memoria, ma la “conversazione familiare”. Così veniva descritta: «Nei riposi pomeridiani, sotto le tende, si svolgono delle conversazioni, fra insegnanti e bambini, nelle quali viene illustrato il fatto in cui trovò, con il sacrificio, la morte il Caduto Fascista. Il fatto viene narrato; i bimbi s’interessano al racconto che commentano tra loro, vogliono sapere maggiori notizie e chiedono…». E il massimo premio per un balilla era poter fare l’appello, del caduto fascista (vedi cerimonia dell’ammaina-bandiera). In questo modo il Regime indottrinava le giovani menti, stimolando la loro naturale curiosità: solo che non si trattava di favole o fatti curiosi…
Altro mezzo di educazione politica era la visita dei genitori la terza domenica del mese: perché ogni bimbo doveva illustrare ai propri parenti la vita in colonia e dimostrare che questa faceva parte di un disegno più grande, che aderiva agli ideali del Fascismo. Perché una volta entrati in colonia i bambini erano di fatto già inquadrati nel Partito e dovevano riconoscere i meriti del Duce, perché egli garantiva «a loro la Colonia, al padre il lavoro, alla Nazione il benessere».

(Fonte: L’assalto, 24/08/1935; si ringrazia la Biblioteca D’arte E Di Storia Di San Giorgio In Poggiale di Bologna)