Le colonie marine: organizzazione e funzionamento #01 - Il Palloncino Rosso
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Le colonie marine: organizzazione e funzionamento #01

Le colonie marine: organizzazione e funzionamento #01

 

Lasciamo brevemente la ricostruzione storica della Colonia Bolognese e vediamo alcune nozioni sulle colonie marine, questa volta di carattere medico-scientifico.
Ci sembra giusto nel nostro contesto ricordare il dott. Guido Nanni, medico ispettore dell’Ufficio d’Igiene di Rimini e dal 1931 segretario del locale Centro di studi talassologici, che partecipò a diversi congressi di talassoterapia e climatologia e aveva le idee molto chiare sull’utilità innanzitutto delle colonie e su come dovessero essere gestite. Inizialmente propose una prima suddivisione degli stabilimenti per cure marine in tre categorie:

1) ospizi ed ospedali marini (permanenti);

2) colonie marine (permanenti e temporanee);

3) campeggi marini (estivi).

Come precisò in seguito, tuttavia, il termine “ospizio” era ormai caduto in disuso perché generava diffidenza, mentre i campeggi potevano essere tranquillamente ricompresi nelle colonie (marine ma anche montane). Del primo gruppo facevano parte tutte quelle strutture marine – una su tutte, per rimanere in zona, la Murri di Bellariva – simili in tutto e per tutto agli ospedali propriamente detti, a funzionamento continuo. Al secondo invece afferivano le opere assistenziali il cui scopo non era la cura, ma piuttosto la prevenzione e la profilassi attraverso una terapia generica: diversi quindi erano gli ospiti, «non malati ma solo predisposti e deboli». Meno severa e complessa era pertanto l’organizzazione medica e tecnica e la sistemazione dei locali e dei servizi, anche se era richiesto comunque un indirizzo scientifico.
Lo stesso Nanni suggeriva inoltre alcuni accorgimenti anche di carattere amministrativo: ad esempio era preferibile affidare queste strutture ad un unico ente finanziatore e infatti in molti casi (la Bolognese ne è un esempio) erano i locali Fasci femminili ad occuparsene. Per quanto riguarda la scelta dei bimbi da mandare in colonia, questa doveva essere demandata ad una speciale Commissione provinciale, composta almeno da un pediatra, un medico scolastico e un climatologo, in particolare per identificare con certezza i tubercolosi, da inviare a separate strutture permanenti.
Di un certo interesse sono le sue raccomandazioni riguardo i requisiti dei fabbricati destinati a colonia: gli «immensi casermoni a tre e più piani» non erano certo la soluzione ottimale (poco igienici e antiestetici), meglio quindi avere un corpo speciale per la Direzione e i servizi e padiglioni distaccati per i ricoveri, con architetture semplici e sobrie, per garantire una organizzazione più controllabile; a questi andava aggiunto un padiglione di isolamento per i malati infettivi. La Colonia Bolognese dunque, che verrà edificata di lì a poco, rispondeva ai più moderni criteri architettonici e sanitari.
Quanto all’ubicazione, era sicuramente da preferire una zona lontana dai centri abitati, sia per una questione economica (terreni da acquisire), sia per un fatto igienico (salubrità dell’aria e dell’acqua): a questo proposito citava proprio il caso della Città delle Colonie Marine, tra Torre Pedrera e Igea Marina, la cui spiaggia aperta era «meravigliosamente libera e bella».
Su un aspetto poi il Nanni era molto rigido: di fondamentale importanza era la separazione tra amministrazione e direzione sanitaria, perché non mancavano casi di «albergatori falliti, fattori arricchiti, pensionati e studenti intraprendenti» che tentavano invano di speculare sulle colonie. Egli ipotizzava una colonia tipo da 250 letti con il seguente personale: tecnico, almeno 1 medico chirurgo (residente o di sola sorveglianza), 1 direttrice, 3 maestre assistenti (esperte in cure fisiche e ginnastica), 1 infermiera diplomata; amministrativo e di servizio, 1 economo, 1 cuoca, 1 sottocuoca, 1 guardarobiera, 5 inservienti, 1 uomo di fatica. Suggeriva poi di affidare a personale femminile l’assistenza ai bimbi per le particolari doti di «dedizione, abnegazione e continuato esempio», che per esperienza personale non ravvisava in quello maschile; d’altra parte, quest’ultimo era preferibile per tutti quei compiti, anche saltuari, più gravosi, come bagnini, uomini di fatica e inservienti di magazzino.

Ma i consigli di Nanni non finivano qui…

(Fonte: Atti del Terzo Convegno nazionale di Talassoterapia, Grado, 1929; immagine: fondo Colonia Novarese, Archivio Fotografico Biblioteca civica Gambalunga – Rimini)